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Liberalizzazioni e meno tasse per uscire dalla crisi
di Carlo Lottieri
Mentre il ministro Giulio Tremonti interveniva all'assemblea delle casse rurali per affermare l'esigenza di non modificare la legge finanziaria durante la discussione parlamentare (evitando ogni "assalto alla diligenza"), una conferma della fragilità del sistema economico nazionale veniva dai dati diffusi dall'Economist Intelligence Unit, per il quale l'Italia si piazza solo al quarantesimo posto della classifica globale della competitività, battuta perfino dalla Tailandia.
A spingere tanto verso il basso l'Italia è la scadente qualità del nostro fisco: troppo gravoso, confuso, centralizzato. Un tale sistema d'imposizione scoraggia le imprese ad investire e proprio per tale motivo è così raro che le grandi multinazionali decidano di venire da noi. Non c'è da stupirsi, insomma, se per quel che riguarda il regime fiscale siamo inchiodati in ultima posizione in Europa. 

Oltre al fisco, ovviamente, pesano altri fattori: un'università eccessivamente chiusa in se stessa e nelle sue baronie (lontana, quindi, dalle imprese e dai loro interessi); una burocrazia asfissiante; una legislazione barocca e orientata a regolare ogni minuzia. Nel gioco competitivo tra aree economiche e sistemi giuridici, l'Italia esce insomma molto male e non c'è da stupirsi se molti preferiscono andare altrove.
I dati dell'Economist sono sconfortanti, ma in fondo confermano quanto altri autorevoli centri studi hanno scritto nei mesi scorsi. Basti ricordare che da noi le imprese sono costrette a destinare agli obblighi fiscali ben 360 ore (contro le 105 in Gran Bretagna). Per giunta, nel nostro Paese è ben più alta la quota destinata a sussidi ed agevolazioni settoriali (lo 0,4 per cento del Pil in Italia contro un ben più contenuto 0,2 del Pil in Gran Bretagna). 

La situazione può però essere migliorata, come rileva lo stesso Economist. In particolare, viene messo in evidenza come un vero federalismo fiscale - se responsabilizzasse effettivamente i centri di spesa e creasse una virtuosa concorrenza tra regioni e comuni - potrebbe aiutare l'Italia a prendere la strada verso la semplificazione delle regole e la riduzione della pressione fiscale. Dovrebbe trattarsi però di un federalismo autentico, che metta in concorrenza sul serio le giurisdizioni e spinga i ceti politici locali a comportarsi meglio e servire nella maniera più adeguata famiglie e imprese. 
Ci sono anche molte altre riforme egualmente urgente che andrebbero messe in cantiere. 
?È il caso di ricordare come da vari studi emerga che in molti settori l'Italia resta un Paese estremamente rigido. Dalle poste ai trasporti ferroviari, dai servizi idrici al trasporto aereo (specie dopo l'unificazione di Alitalia e AirOne nella nuova Cai), in troppi campi il nostro Paese è quasi privo di concorrenza e libertà di iniziativa. È quindi indispensabile non solo abbassare le imposte e - anche in questa prospettiva - localizzarle, ma è pure necessarie riprendere con determinazione la strada di quelle liberalizzazioni lasciate a metà dal precedente governo.

Da Il Tempo, 25 novembre 2008