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nazionalizzare le banche aggraverebbe la crisi

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Nazionalizzare le banche aggraverebbe la crisi
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La crisi sta fatalmente riportando in auge quelle politiche economiche che avevano caratterizzato gli anni Sessanta e Settanta
di Carlo Lottieri
Il disordine economico causato dalla crisi dei subprime (i mutui ipotecari americani assegnati, sulla spinta di logiche populiste, a chi ora non è in grado di rimborsare le banche) si sta oggi trasferendo al mondo della produzione. La crisi insomma si radicalizza e questo sta fatalmente riportando in auge quelle politiche economiche che avevano caratterizzato gli anni Sessanta e Settanta e che già allora avevano causato tanti danni. Di fronte ad aziende del credito che potrebbero conoscere difficoltà anche molto gravi, si parla con tranquillità di nazionalizzazioni e in America la nuova amministrazione progressista guidata da Barack Obama ha già deciso l’acquisizione da parte del Tesoro di una quota rilevante della City Bank.

È una strada sbagliata: per più di un motivo.
Innanzi tutto, un’economia vive di incentivi e disincentivi, premi e punizioni. Con le nazionalizzazioni vengono sottratti alla loro sanzione quanti si sono comportati in maniera sconsiderata, e per giunta vengono puniti quei contribuenti che ovunque metterebbero i loro soldi, meno che in un’azienda in bancarotta. Ma ci sono anche altre ragioni che militano contro il ritorno dello Stato imprenditore.

Crisi e fallimenti sono segnali che vanno compresi. Se in queste settimane le aziende automobilistiche hanno i piazzali stracolmi, la lezione è che nel mondo si producono troppe vetture, che i consumatori non sono così interessati a cambiare auto ogni due anni, e che quindi bisogna orientare altrove capitali e lavoro. Per questa ragione è irragionevole evitare tali ristrutturazioni con “rottamazioni” o sussidi.

La stessa cosa si può però dire (e a maggior ragione) per il settore finanziario, che deve essere ripensato, ma che proprio per questo non va consegnato nelle mani di uomini selezionati dalle segreterie di partito. Per avere un buon sistema bancario bisogna al contrario allentare il controllo – fortissimo – che lo Stato esercita su di esso. Chi voglia rendersene conto provi ad aprire un’attività nel settore del credito e subito si renderà conto di come vi sia una carenza di competizione e libertà d’iniziativa.

In un’economia che funziona, è normale che talune imprese nascano e altre falliscano: e questo deve valere pure per banche e assicurazioni. Ovviamente tutto ciò non esclude che si immagini una tutela per chi rischia di veder svanire i propri risparmi: e al riguardo già adesso vi sono reti di protezione per i titolari dei conti correnti.

I fallimenti sono sempre dolorosi, ma almeno riguardano chi si è cacciato in questa situazione e comunque finiscono per mettere un punto finale ad una vicenda sbagliata. I “salvataggi” di Stato, invece, tengono artificiosamente e demagogicamente in vita una serie di realtà produttive che distruggono ricchezza. Per la classe politica non è semplice ritrarsi dinanzi alla soluzione più facile, che fa sempre ricorso al denaro di Pantalone. Ma il ritorno delle nazionalizzazioni metterebbe seriamente in pericolo il futuro delle giovani generazioni.

Da Il Tempo, 25 febbraio 2009