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Il nemico dei giovani

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Italia: ritratto di un Paese bloccato da vizi che non riesce a sconfiggere e prigioniero di pigrizie insuperabili

Nel suo discorso per l’apertura dell’anno accademico dell’università Bocconi, martedì scorso il rettore Guido Tabellini ha dato il ritratto di un Paese bloccato da vizi che non riesce a sconfiggere e prigioniero di pigrizie insuperabili. Alla luce di quell’analisi, la nostra è una società in rapido declino, che rischia di non avere un futuro.
In primo luogo, abbiamo smarrito la via dello sviluppo. Capace di crescere addirittura del 55% nel corso degli anni Sessanta, da allora l’Italia ha rallentato la corsa e – nell’ultimo decennio – è perfino arretrata. I dati disastrosi dell’ultimo decennio sono da collegare alla crisi del 2009, ma sono anche conseguenti al fatto che nel periodo 2008-10 il nostro tasso di crescita è stato vicino allo zero.
Tutto questo sta producendo esiti terribili, se si considera – ad esempio – che in pochi anni il tasso di occupazione giovanile (dai 15 ai 34 anni) è diminuito di parecchi punti, mentre aumenta il numero dei laureati italiani che vanno all’estero e soprattutto negli Stati Uniti. Da un lato non sappiamo attirare capitali finanziari e dall’altro spingiamo molti giovani in gamba ad andarsene.
Se la diagnosi non lascia spazio a equivoci, anche la ricetta è semplice e convincente. Tabellini ha infatti ricordato che “la tutela dei diritti di proprietà, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la protezione dall’abuso da parte dei governi, spiegano la differenza tra paesi ricchi e paesi poveri più di qualunque altra variabile economica, sociale o geografica”. Di conseguenza, se non sapremo ridurre spesa pubblica e tassazione, se non sapremo liberalizzare i mercati e cancellare le rendite, se non sapremo “depoliticizzare” la vita economica e affrancarci dallo Stato imprenditore controllato dagli oligarchi di regime, il declino continuerà.
Alla luce di questo è chiaro come le schermaglie di Palazzo non abbiano nulla a che fare con i problemi reali. È proprio perché la classe dirigente discetta intorno al nulla che nel frattempo parecchi laureati preparano la valigia e se ne vanno altrove. Ma purtroppo le parole di Tabellini non trovano accoglienza nel ceto politico.
Nelle stesse ore in cui il rettore lanciava questo monito, politici di varia tendenza salivano sui tetti delle università per esprimere solidarietà a iniziative schierate a difesa di atenei pubblici totalmente burocratizzati, inadeguati, quasi spenti. La riforma del ministro Gelmini può certo essere criticata, ma proprio perché non si muove con sufficiente coraggio verso la meritocrazia e la competizione: proprio ciò che i baroni e i gruppi universitari più esagitati non vogliono. E un segnale analogamente disperante viene dal governo, che ora lancia un ennesimo “piano per il Sud” di 100 miliardi di euro, immaginando ancora una volta di sviluppare il Meridione con gli investimenti statali. Invece che preoccuparsi di creare un sistema di incentivi che induca tutti a lavorare meglio e di più, si protegge un’università sclerotizzata e si ripropone l’ennesima Cassa del Mezzogiorno.
Con politici come questi, l’analisi a tinte fosche offertaci da Tabellini rischia di apparire perfino eccessivamente ottimista.

Da La Provincia di Como, 28 novembre 2010