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La Provincia di Varese
- di Carlo Lottieri
La rivolta che stava serpeggiando nel Paese, alla fine, ha ottenuto il proprio effetto. La norma del cosiddetto "decreto salva Italia' che impone a tutte le imprese (compresi i negozi, i professionisti e le attività artigiane) di versare alla Rai una cifra compresa tra i 200 e i 6 mila euro sarà modificata. Dopo qualche momento di confusione, la pressione esercitata dal ministero dello sviluppo economico ha indotto la Rai a rinunciare alla pretesa di estendere ai possessori di computer l'iniqua gabella che già oggi le famiglie sono costrette a versare.
Sarebbe stata una follia, dato che l'Italia produttiva già è oppressa da una massa d'imposte che rischiano di farci fare la fine della Grecia. Basti tenere presente che secondo una recente analisi l'ultimo aumento delle accise sulla benzina sta causando una riduzione dei consumi di carburante che, solo nel 2012, farà perdere circa 500 milioni di euro di entrate allo Stato. Per giunta, pochi prelievi sono tanto invisi alla popolazione quanto quello che finanzia il carrozzone di viale Mazzini. Non bastasse tutto ciò, il teatrino nazionale è reduce da un penoso festival di San Remo caratterizzato da trivialità di vario genere, insulti ai giornali cattolici, farfalline inguinali e cachet milionari. Dopo un simile spettacolo, la notizia di un ulteriore aggravio del prelievo tributario non poteva che suscitare reazioni di ogni genere. E la politica è stata costretta a tenerne conto.
La battaglia, però, non è finita, dal momento che la Rai deve essere al più presto chiamata a operare come le altre imprese televisive: vivendo di pubblicità o criptando i propri programmi, in modo che siano visibili solo a chi liberamente decide di abbonarsi. L'obbligo di versare il canone è insensato non solo per i ristoranti che dispongono di un pc per gestire le sale o per le aziende che l'utilizzano per la contabilità: è un'ingiustizia sempre, anche quando riguarda le famiglie.
Qui si tratta di affermare un principio giuridico fondamentale: che nessuno può pretendere un compenso in cambio di servizi non richiesti.
Per giunta, la Rai andrebbe subito privatizzata, ponendo fine a un obbrobrio che una società libera non dovrebbe contemplare: e cioè un'informazione di Stato. Perché si abbia un vero pluralismo, è necessario che giornali e televisioni non siano controllati - in modo diretto o indiretto - dai partiti e dal governo, che sono fatalmente portati a lottizzarli e a piazzare propri uomini al loro interno. Quando anni fa Bruno Vespa disse che il suo editore era la Dc, disse la verità. Ma per chiudere definitivamente con tali logiche vergognose l'unica strada è che la Rai sia messa in vendita al miglior offerente. Quella di ieri è stata una piccola vittoria, ma deve essere soltanto il primo passo verso un'Italia più seria e responsabile, che non può più permettersi un carrozzone politicizzato con oltre 10 mila dipendenti la cui produttività, nei fatti, è risibile.
Restituiamo alle famiglie la libertà di gestire quei 112 euro che oggi sono costrette a versare alla Rai. Qualche soldo in più nelle tasche della gente e un po' di parassitismo in meno non potrebbero che far bene a tutti.

Da La Provincia di Varese, 22 febbraio 2012