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Cari amici

i gruppi di discussioni dei nostri soci aiutata da esperti esterni, si sono posti il problema di comeaffrontare l'attuale situazione dello stato Italiano.

Cordialmente

Giuseppe Quarto

Club L’Imprenditore

Brescia

Tel 335 282794

www.liberidiscegliere.org

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Appello agli uomini liberi

Ci rivolgiamo a tutti gli uomini liberi, a tutti coloro che non vogliono più subire in silenzio i soprusi, i divieti inutili e la tassazione vessatoria che questo Stato quotidianamente ci obbliga a subire. E necessario avere il coraggio di organizzarsi su una proposta volta ad allargare gli spazi di libertà e a ricondurre il potere politico entro limiti ben precisi.

 

Lo Stato e la politica devono essere al servizio dei cittadini e derivare da essi la loro legittimazione. Al contrario, oggi, siamo troppo spesso sudditi di politicanti e burocrati che vivono come parassiti sulle spalle dei ceti produttori.

 

Gli uomini liberi devono alzare la testa e non accettare le intimidazioni di uno Stato che, se non frenato nella sua invadenza nella vita privata, può portarci entro una società totalitaria anche senza che noi ce ne accorgiamo completamente. Rischiamo di diventare numeri nelle mani di una nomenclatura che vorrebbe progettare e gestire ogni momento della nostra vita.

 

Sul mondo del lavoro e nei rapporti economici (basta pensare alle leggi sulla casa), è stato di fatto quasi abrogato il diritto di contratto, oggi sostituito da una legislazione minuziosa che - in nome del diritto dei più deboli - serve solo gli interessi dei politici e delle corporazioni sindacali. Invitiamo chi ritiene che essere liberi di scegliere come impostare la propria vita sia un diritto inalienabile della persona a prendere contatto con questa associazione, anche solo per dare un sostegno morale o suggerire forme di intervento culturale.

 

Nessuno ci regalerà mai la nostra libertà: sta noi conquistarla. Sta a noi alzare la testa di fronte allo Stato e non subire più passivamente arbitrii e sopraffazioni.

Alle origini dell'autonomismo e del liberismo

Quando alla fine del Settecento giunge in Italia alla testa del suo esercito, Napoleone dà inizio ad un processo destinato a trasformare radicalmente le istituzioni attorno alle quali si era organizzata ed articolata, fino ad allora, la vita civile delle città e, soprattutto, dei paesi dell'Italia settentrionale.

 

Al seguito delle truppe francesi arrivano, infatti, la coscrizione obbligatoria, la pianificazione sociale, il prefetto, l'idea stessa di "politica culturale" e di "religione civile", il centralismo fiscale ed amministrativo. Nel 1801, inoltre, viene cancellata con un solo gesto un'esperienza caratteristica dei centri padani ed alpini, un istituto (come ha scritto Danilo Agliardi) "tipicamente medievale, risalente all'anno Mille o forse prima, che si sviluppa soprattutto nelle borgate rurali": la vicìnia.

 

La vicinia era, in un certo senso, quello che è ora il Comune. Essa si occupava, infatti, di regolare la raccolta del legname nei boschi o l'accesso ai pascoli seguendo le norme tradizionali del diritto consuetudinario; essa regolava l'utilizzo delle acque e presiedeva alle opere di utilità generale, fissava le imposte locali e ne organizzava la riscossione. Rispetto al Comune di oggi, però, la vicinia manteneva alcuni caratteri su cui vale la pena di riflettere, anche in rapporto all'attualità politica.

 

La relazione che univa tra loro i membri dei villaggi, infatti, era in larga misura di tipo privatistico. Basti dire che non tutti gli abitanti del paese o del borgo facevano parte dell'assemblea annuale che votava a maggioranza le decisioni di spesa e che eleggeva i sindaci, i ragionati, gli andatori, i campari, ecc. Ammessi a far parte della vicinia erano solo i proprietari (ovvero sia i contribuenti, piccoli o grandi), da considerarsi quasi come comproprietari di un bene condominiale da amministrare nell'interesse di tutti. E' evidente che, in tale contesto, il mandato ottenuto dagli eletti non era di tipo rappresentativo (astratto ed ideologico), quale è quello fissato dallo Stato moderno, ma piuttosto imperativo (concreto, vincolato agli interessi e alle attese del proprietario-elettore).

 

Alla vicinia, inoltre, non erano ammessi i nobili ed i forestieri (coloro che venivano da fuori, da altri comuni). Ma da cosa derivava la propria legittimità questa democrazia paesana? E' semplice: essa considerava i beni comuni (i boschi, i pascoli, i corsi d'acqua, ecc.) quali proprietà collettive e private al tempo stesso, quali proprietà indivise, ed è per questa ragione che i forestieri, i nobili ed i nullatenenti - non potendo vantare alcun diritto storico su di esse o non essendo in condizione di poter contribuire ai costi di gestione - erano tenuti fuori dall'assemblea viciniale, composta dagli eredi dei primi occupanti di quelle terre.

 

Vi furono vicinie di aree povere della pianura, ad esempio, che erano prive di dipendenti e tributi fissi (senza imposte annuali), dove l'assemblea si limitava a stabilire di volta in volta - come avviene nelle assemblee di condominio - le quote da pagare per far fronte a questa o quella spesa. Così come vi erano vicinie ricche che erano in condizione di trarre le risorse necessarie alla propria esistenza da un'oculata amministrazione dei beni comuni.

 

Istituzione locale di natura essenzialmente privata, in moltissime occasioni la vicinia ha prodotto ugualmente beni di pubblica utilità, senza preoccuparsi di limitarne l'accesso ai soli soci e anzi, in vari casi, destinandoli espressamente a coloro che della vicinia non facevano parte.

 

Da un documento della vicinia di Ciliverghe, risalente al 1765, si desume ad esempio che l'assemblea (composta dai rappresentanti adulti delle famiglie originarie e proprietarie) decise di dedicare circa la metà del proprio bilancio per mantenere un medico ed un chirurgo (coll'obbligo ad ambedue di assistere tutti indistintamente e specialmente i poveri). Altro esempio: quando, nel 1737, fu avvertita l'esigenza di costruire una nuova volta per la chiesa parrocchiale di Bagnolo Mella, la locale vicinia stabilì - con 260 voti favorevoli e 5 contrari - di finanziare essa stessa tali lavori.

 

E' interessante rilevare che ad un'origine privatistica dei Comuni si siano recentemente riferiti, in forma diretta o indiretta, proprio vari esponenti dell'area liberaldemocratica, specie allo scopo di rilegittimare una riforma fiscale in senso federale e municipalistico. Lo spirito imprenditoriale che tanta parte ha avuto nella storia italiana, dal capitalismo commerciale dei Comuni medioevali fino al boom del recente dopoguerra, torna dunque ad riproporsi per merito del nuovo liberismo di massa, quel liberismo popolano che rifiuta (con sempre maggior consapevolezza) l'assistenzialismo, la coercizione, le logiche asserventi di uno statalismo corrotto e fallimentare.

 

L'autonomismo municipale torna a coniugarsi con la libertà economica: la nostra società, dopo due secoli di oblio, riprende a guardare con interesse al proprio passato e alle proprie radici

I Comuni del Duemila

Per le autonomie municipali in materia fiscale

 

Nell'attuale situazione debitoria dello Stato italiano si impone la necessità di ripensare le forme in cui vengono reperite le risorse (imposte e tasse). La soluzione che in queste righe prospettiamo si avvale di studi specifici sull'organizzazione degli Stati ed estrapola alcune tra le soluzioni migliori già adottate altrove. Da questi studi emerge che le istituzioni che meglio funzionano e che riescono a soddisfare in maniera più efficace le esigenze dei cittadini sono quelle di piccola entità, le quali sono tanto più efficienti quanto più sono minuscole.

 

Negli Stati di modeste dimensioni si nota un efficacissima simbiosi tra amministratori e amministrati, dato che vi è uno stretto scambio di opinioni tra chi governa e chi è governato. I politici, inoltre, si occupano solo (o quali esclusivamente) di piccole cose e in questo modo devono stare attenti a non gravare molto sulle finanze dei cittadini, anche al fine di non perdere il consenso ottenuto.

 

Al contrario di quello che molti pensano, questo non comporta un arretramento della vita sociale delle comunità, ma viceversa si nota una particolare attenzione alla solidarietà ed alla ricerca della pace sociale.

 

Un esempio della validità di queste asserzioni si nota nella gestione dei Cantoni svizzeri dove, anche se naturalmente non si raggiunge la perfezione, le pecche e le incongruenze che emergono sono più facili da eliminare di quanto non avvenga in società centralisticamente concepite, dove il potere è lontano e spesso sordo di fronte alle esigenze dei cittadini.

 

Nel caso dello Stato italiano va sottolineato come esso si trovi in una situazione legislativa, finanziaria e politica che è ormai al limite del collasso: è dunque urgente individuare nuove regole che evitino la bancarotta finanziaria e permettano di ridurre la pressione fiscale che grava sui cittadini e sulle imprese.

 

Questo studio vuole proporre un modello di nuova organizzazione finanziaria e fiscale capace di offrire un'alternativa alla situazione presente.

 

Operando all'interno delle norme costituzionali in vigore si può ottenere, tramite nuove leggi, un organizzazione fiscale che dia risultati apprezzabili sia in merito alla riduzione del debito pubblico che rispetto all efficienza della struttura amministrativa.

 

Risulta infatti evidente che con l attuale organizzazione fiscale è molto difficile, se non del tutto impossibile, pensare non solo ad una riduzione del debito, ma nemmeno ad una sua stabilizzazione. Esso continua a crescere alla media di circa l'8% annuo, anche di fronte a ripetuti aumenti della tassazione.

 

In considerazione del fatto che i centri di spesa sono del tutto fuori controllo, come è inevitabile in una società centralista, il debito pubblico non può che continuare a dilatarsi: con gravi problemi per l'economia e per il futuro della moneta, del credito, della fiscalità, dell occupazione. Queste righe vogliono avanzare alcune proposte che contribuiscano a migliorare la consapevolezza su quali siano le soluzioni da adottare se si vuole risolvere il problema e si vogliono tutelare davvero i diritti dei contribuenti.

Il fisco ed i Comuni

Il nodo principale da sciogliere è quello di evitare che lo Stato possa fare nuovi debiti.

 

Nel prevedere una fase di stabilizzazione del debito pubblico sarebbe opportuno prospettare un periodo di ammortamento dell'attuale debito (circa 30 o 40 anni). La conseguenza di questa decisione farebbe diventare molto più appetibili e commerciabili i titoli del debito pubblico esistente.

 

I nuovi risparmi dei cittadini, infatti, non trovando facile collocazione nel nuovo debito pubblico, renderebbero molto più appetibile e sicuro l'acquisto dei vecchi, con la conseguenza che si avrebbe una riduzione dei tassi di interesse sulle vecchie emissioni e, quindi, minori uscite per lo Stato. In questo modo diverrebbero anche più convenienti forme alternative di investimenti: la borsa, il mercato dei commercial paper, i fondi comuni, i fondi pensione e anche quelle attività industriali o commerciali fino ad oggi penalizzate dal confronto con il rendimento dei titoli pubblici, che si permettono ora il lusso di pagare interessi esorbitanti. Dobbiamo inoltre tenere presente che ogni lira che fosse investita (e sottratta ai Bot e ai Cct, ovvero al debito pubblico) creerebbe rendimenti tassabili, con conseguente aumento delle entrate fiscali e con la possibilità di un maggiore ammortamento del debito residuo.

 

Questo otterrebbe subito non solo la riduzione programmata del debito pubblico, ma anche una velocizzazione nel contenimento dello stesso, innescando in tal modo un circolo virtuoso.

 

Ma per rinforzare e rendere efficace e praticabile una strada di questo tipo è necessario togliere allo Stato centrale il potere impositivo fiscale, delegando ai Comuni e solo ad essi tutti i poteri in materia tributaria.

 

Nella situazione attuale, infatti, gli amministratori locali sono costretti a chiedere allo Stato più danaro possibile per la semplice ragione che la loro "bravura" - agli occhi degli elettori - si misura in proporzione del ritorno che riescono ad ottenere. Il risultato è che più i Comuni, le Province e le Regioni spendono, e più lo Stato è costretto a finanziarli.

 

Un Sindaco che cercasse di spendere poco, o il meno possibile, non sarebbe apprezzato, perché tale eventuale risparmio non avvantaggerebbe i suoi concittadini, ma l insieme della popolazione italiana. I soldi che questo Sindaco dovesse risparmiare, inoltre, sarebbero messi a disposizione di amministratori meno oculati o clientelari.

 

In molti centri, anche nella nostra provincia, i cittadini che negli anni scorsi si sono opposti a spese inutili e ad opere irragionevolmente faraoniche si sono spesso sentiti obiettare che dietro a quel progetto "c'era un finanziamento dello Stato" e che quell opera (indispensabile o meno) era quindi da farsi per non perdere l'opportunità di godere dell'aiuto statale. Ma siccome la situazione era la medesima in tutti i Comuni, questo meccanismo - fondato sull'irresponsabilità e sulla distanza tra chi eroga e chi gode dei benefici - ha contributo pesantemente alla creazione del debito pubblico.

 

Ma per arrivare a instaurare questo rapporto diretto tra costi e benefici è necessario che siano i Comuni a imporre e incassare tutte le tasse: con l obbligo, ovviamente, di attribuire una quota percentuale fissa - e solo quella - allo Stato (al quale spetterebbe anche l onere di aiutare i Comuni più bisognosi). Un'altra percentuale fissa, inoltre, potrebbe essere attribuita alle Regioni e alle Province.

 

Introdotte queste nuove norme, gli amministratori comunali sarebbero indotti dal meccanismo stesso a usare la massima oculatezza nelle spese: le opere pubbliche da "megalomani" che vediamo in tanti paesini e in tante città scomparirebbero presto, insieme anche alla miriade di finanziamenti ad enti inutili. Lo Stato, in tal modo, vivrebbe solo degli incassi derivanti dalla quota che i Comuni, per legge, gli riserverebbero.

 

Proviamo a fare un esempio. Se un Comune ha bisogno, in bilancio preventivo, di 1 miliardo e - in base alla legge - deve versare il 50% delle proprie entrate allo Stato, esso dovrà preoccuparsi di raccogliere dai suoi cittadini 2 miliardi di lire. Uno lo terrà per sé e l altro lo darà all'ente superiore. Se l anno successivo riterrà di accontentarsi di 800 milioni (avendo ridotto sprechi e altre uscite), non dovrà chiedere ai cittadini che 1 miliardo e 600 milioni. L autonomia favorirebbe la buona amministrazione.

 

Un altra regola che favorirebbe l'autonomia dei Comuni nell'ambito dell imposizione fiscale consiste nello stabilire la destinazione finanziaria di tutte le imposte, con divieto assoluto di poterle dirottare verso altre spese e con la conseguente eliminazione delle stesse nel caso in cui le spese a cui sono destinate decadessero. Ciò eliminerebbe la creazione di calderoni finanziari senza precisa destinazione i quali si rivelano, in molti casi, centri di malaffare.

 

Per fare un esempio chiarificatore prendiamo le tasse sulle auto: il bollo annuale, la tassa d'immatricolazione e quella sulla benzina dovrebbero essere destinate solo alla manutenzione, alla costruzione e alla sicurezza delle strade. Nel momento che le spese per queste finalità dovessero diminuire, automaticamente si dovrebbe diminuire l'importo delle tasse stesse.

 

Questo sistema avrebbe inoltre il vantaggio di eliminare i contrasti politici, in quanto ogni Sindaco avrebbe la possibilità di gestire le imposte secondo le sue convinzione politiche, legittimato in questo dalla volontà della maggioranza degli elettori che democraticamente lo hanno eletto. Per cui anche se alcuni cittadini fossero in contrasto con la sua gestione, questi potrebbero risolvere in maniera relativamente facile il problema spostandosi nel Comune vicino, dove un Sindaco con convinzioni politiche in sintonia con le proprie potrebbe rendere più gratificante le loro aspettative di vita.

 

L'esistenza di tanti Comuni autonomi, uno a fianco dell'altro, è destinata a stroncare sul nascere ogni velleità oppressiva in campo fiscale: ciò che invece non si verifica quando vastissimi territori sono governati da una sola legge, da un solo governo, da una sola istituzione.

 

L'autonomismo comunale si pone l'obiettivo di rendere le comunità locali davvero responsabili della propria gestione sia sul piano delle entrate, sia su quello delle uscite. E' opportuno infatti che coloro che godono dei benefici di un servizio ne paghino i costi.

 

In ogni comunità locale tutte le spese pubbliche di notevole rilevanza (cosi come avviene in Svizzera) verrebbe inoltre sottoposta a referendum e sarebbero i cittadini stessi a decidere se i vantaggi compensano i costi.

 

Tutto questo però presuppone un attento rodaggio al fine di evitare che la transizione tra il nuovo e vecchio sistema fiscale possa generare scompensi e anomalie. Anche in questo caso è logico pensare che tale "esperimento" debba essere avviato su un piccolo territorio, così che i danni che potrebbero derivare da inesperienza o da errori siano di lieve entità e che le perdite siano facilmente assorbibili.

 

Questo territorio dovrà comunque essere lo spaccato di un piccolo Stato, affinché tutte le differenti situazione fiscali possano essere verificate nella realtà.

 

Analizzando la struttura produttiva e territoriale delle varie province risulta che la provincia di Brescia, come pochissime altre, contiene la maggior parte delle variabili (industriali, agricole, commerciali, turistiche, minerarie e territoriali) esistenti nello Stato italiano.

 

A nostro giudizio sarebbe da auspicare che il Parlamento approvi una legge la quale introduca norme nuove per l'amministrazione del nuovo "Cantone di Brescia", dichiarando territorio destinato a sperimentare le nuove regole pensate per le amministrazioni comunali dell'intero Paese.

 

In questa maniera lo Stato potrebbe avvalersi della varietà di insediamenti economici e strutture industriali del Bresciano, così da raccogliere utili suggerimenti sugli effetti di un'amministrazione basata sulla piena autonomia fiscale.

Caratteri dell'economia Bresciana

Nel territorio della provincia di Brescia sono presenti quattro differenti realtà di assetto morfologico: montagna fino al livello dei ghiacciai, tre laghi (tra cui il più grande d'Europa), pianura fertile, colline.

 

Strutture produttive

 

La provincia di Brescia è dotata di infrastrutture produttive nei più svariati settori: una forte industria metalmeccanica legata all'automobile, industrie siderurgiche tra le più efficienti d'Italia, fonderie di ghisa, imprese attive nell'industria mineraria estrattiva ed altre che lavorano il rame, l alluminio e l ottone.

 

Sono altresì presenti piccole sacche di sottosviluppo con alta disoccupazione (zone montane e altri territori in cui si trovano aziende in stato fallimentare, o già fallite, le quali hanno licenziato molti dipendenti), tali da permettere lo studio e l'affermazione anche di forme di solidarietà di tipo nuovo e non assistenziale.

 

Nel campo dell'industria tessili vi sono varie presenze produttive: calzifici, camicerie, industrie per l abbigliamento. Non mancano aziende che producono macchine utensili, oltre ad aziende attive nel settore dei prodotti casalinghi e degli articoli da regalo. C'è poi un massiccio insediamento di industrie di elettrodomestici e di sanitari.

 

Si può insomma affermare che sono ben pochi i prodotti che non vengono realizzati in provincia di Brescia.

 

Questa varietà di strutture industriali ed imprenditoriali (affiancata, inoltre, da un'importante presenza di imprese agricole e turistiche) potrebbe permettere un'efficace simulazione dell'impatto che il nuovo sistema fiscale basato sull'autonomia dei Comuni avrebbe su tutte le componenti della società civile italiana qualora il progetto di federalismo fiscale municipale fosse esteso all'insieme del Paese.

 

L'organizzazione fiscale del cantone

 

Nell'organizzare la nuova struttura fiscale, onde evitare che ci si limiti a fotocopiare la vecchia struttura statale (trasferendo nel piccolo le regole, fallimentari, dello Stato italiano), si devono fissare principi basilari a cui non sarà possibile sottrarsi.

 

Compiti dei Comuni

 

Nella nuova gestione fiscale, il Comune deve diventare l'unico e assoluto arbitro in merito alla quantità e alla qualità delle imposte che i cittadini devono versare. Il Comune dovrà essere l'unico responsabile in tutto ciò che concerne l'urbanistica, l ecologia, il commercio e l industria.

 

Tutte le spese di notevole rilevanza e tutte le leggi comunali che penalizzano una categoria di cittadini devono avere un preciso mandato dai cittadini residenti e devono quindi superare il vaglio di un referendum. Deve essere vietato ai Comuni di indebitarsi, a meno che la delibera di indebitamento non abbia ottenuto - tramite referendum - il consenso del 75% della popolazione residente.

 

Tutti i Comuni devono impegnarsi a dare la residenza politica e fiscale a tutti i cittadini italiani residenti effettivamente nello stesso Comune da almeno sei mesi. I Comuni, inoltre, sono vincolati a non emanare leggi che limitino le libertà garantite dalla Costituzione Italiana.

 

Va prevista una gestione comunale della giustizia civile, con un secondo grado cantonale ed un terzo statale.

 

Viabilità

 

Cambiando il sistema delle imposte ogni Comune dovrà farsi carico della viabilità comunale, destinando una quota delle imposte all'ente consortile che gestirà la viabilità cantonale o statale. Si adotterà lo stesso criterio per la gestione delle acque dei fiumi e dei laghi.

 

E quindi auspicabile che, al fine di evitare gestioni a livello statale di tutti i compiti che rivestono problemi nazionali, si adotti il sistema di consorzi e associazioni.

 

Esazione fiscale

 

Dovendo il Comune decidere le imposte anche per la quota da destinare ad altri enti superiori (Cantone e Stato), al fine di evitare che Comuni disastrati non versino alle altre istituzioni la quota di imposte loro spettante, è necessario che l'organismo esattivo sia indipendente dal controllo dei singoli Comuni. Per ottenere questo si potrebbero indire gare di appalto a livello cantonale e l'ente esattore potrebbe gestire la riscossione di tutte le imposte per ogni Comune dei Cantoni, rimanendo il solo responsabile della divisione regolamentata delle imposte incassate.

"La Compagnia della Libertà": un progetto e un ideale

Viviamo da sudditi di uno Stato che ci toglie la metà di quanto produciamo, che impone oltre 200 mila leggi e una miriade di regolamenti (molti assurdi e iniqui), dobbiamo subire gli arbitrii di funzionari e magistrati che possono disporre di noi e dei nostri diritti come a loro meglio piace. Tutti gli uomini politici ci parlano di "democrazia" ma, in realtà, siano quasi degli schiavi e loro sono i nostri padroni.

Ma tutto questo è inevitabile? Siamo sicuri che non ci siano alternative?

Chi ha detto che senza i signori dei partiti e il monopolio di una classe politico-burocratica parassitaria non sarebbe possibile vivere in pace, lavorando onestamente, coltivando i propri ideali e perseguendo i propri obiettivi nel rispetto di quelli degli altri?

 

Noi riteniamo che questa moderna schiavitù possa essere vinta: e che esista una via d uscita...

 

Se sei interessato a questa prospettiva prendi contatto con la "Compagnia della Libertà", un gruppo di uomini liberi che - all interno del Centro Studi Liberisti - sta elaborando una nuova forma di vita associata: più umana, più efficace nel difendere i diritti dei cittadini, più rispettosa delle libertà individuali.

 

Se sei interessato a conoscere idee nuove, prendi contatto con noi. Potrebbero aprirsi orizzonti nuovi.

Associazione Culturale liberi di Scegliere

Centro studi Liberismo

Via Canneto 7 25134 Brescia Tel 335 282794

 

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