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Federalismo: non è nato e già “rompe”
di Carlo Lottieri
Il federalismo italiano non è ancora non è nato, ma pare stia già sulle scatole a molti. Nei giorni scorsi, il primo ad aprire l’offensiva è stato Pierferdinando Casini, che ha denunciato il rischio di un’esplosione della spesa pubblica quale conseguenza della riforma predisposta dal ministro Roberto Calderoli. Ma subito gli ha fatto seguito la Corte dei Conti, che ha segnalato la possibilità di uscite fuori controllo e il moltiplicarsi di nuovi apparati pubblici e crescenti trasferimenti perequativi.
Queste prese di posizione rispondono in larga misura ad esigenze di ordine politico. Poiché è ben noto a tutti che la Lega ha bisogno di “incassare” una riforma in senso federale, e poiché è evidente che l’asse attuale tra Berlusconi e Bossi sembra chiudere ogni spazio ad altre ipotesi di alleanza, Casini enfatizza rischi reali, ma solo per sue ragioni di bottega. Gli stessi rilievi della magistratura contabile non sono del tutto infondati, ma prendono di mira un’ipotesi ancora tutta da definire nei dettagli.

Non c’è dubbio che dalla bozza Calderoli può uscire un’Italia ad alta irresponsabilità di spesa e con trasferimenti accresciuti da Nord a Sud, ma questo non è certo l’unico esito possibile. Né è quello più in linea, ovviamente, con una serie ispirazione federalista.
A ben guardare, sono proprio la crisi finanziaria globale e le sue ricadute sui conti pubblici che devono spingerci ad adottare al più presto una riforma fiscale in senso federale. Uno dei motivi di dissesto della nostra finanza pubblica, infatti, è proprio lo sganciamento tra il momento in cui si paga e quello in cui si riceve un servizio. Poiché ogni servizio locale è finanziato dalla cittadinanza italiana nel suo complesso, ma i benefici sono a vantaggio di una piccola porzione (gli abitanti di un comune o di una regione), vi è una naturale tendenza a moltiplicare interventi e iniziative. Un vero federalismo obbligherebbe invece l’amministrazione di Voghera a chiedere le risorse di cui ha bisogno ai propri cittadini (casalinga inclusa), e questo rappresenterebbe un freno formidabile di fronte a ipotesi di spese superflue o del tutto inutili.

Oltre a ciò, un sistema federale avrebbe il merito di mettere in competizione i vari governi locali. Imprese, capitali e famiglie sarebbero naturalmente attratti dalle realtà in cui le imposte sono inferiori e i servizi migliori, e questo innescherebbe processi “virtuosi”. La chiave del successo della Svizzera è tutta lì: basta copiare.
Fanno bene quanti evocano il rischio di un falso federalismo che si limiti a permettere spese sempre più facili e che moltiplichi apparati, competenze e poteri senza intaccare il centro. Ma la loro predica risulta convincente solo se intende favorire l’avvento di autentiche riforme, che scardinino la spesa pubblica largamente irresponsabile che ha dato un contributo tanto alto al dissesto attuale.

Le bordate a cui oggi è sottoposto chi cerca di introdurre qualche elemento federale in un’Italia altamente centralizzata e anche per questo fortemente dirigista vanno allora sfruttate per premere l’acceleratore su una riforma davvero federale. Ad essere contestato e certamente contestabile è il federalismo “dimezzato” che Calderoli è stato in qualche misura costretto a partorire al termine di estenuanti negoziazioni con gli esponenti politici del Sud, le associazioni dei comuni e delle regioni, i leader dell’opposizione. Di fronte a questo fuoco incrociato non resta che la strada di una riforma coraggiosa, che riduca al minimo i trasferimenti perequativi e affidi ad ogni ente locale (comune o regione) la libertà di decidere le proprie imposte, scegliendo modalità e aliquote.

C’è del vero nelle tesi di Casini, ma per uscire da quelle difficoltà sarebbe un errore capitale non fare nulla e sposare lo status quo. Proprio perché la situazione è dura e il futuro rischia di essere ancora peggio è oggi indispensabile avere il coraggio di scelte in qualche modo “rivoluzionarie”: tanto necessarie al Nord, ma ancor più indispensabili al Sud (dove perfino più forte è il dominio dei ceti politici locali).
Gli argomenti usati contro il federalismo non sono sciocchi né inutili, ma a ben guardare servono proprio a rendere ancor più consapevoli della necessità di una riforma in tal senso.

Da L’Opinione, 19 novembre 2008
Pubblicato il 20/11/2008